EDITO
Snowboard is not a crime
Intorno agli anni ’90 ero un giovane skater che esponeva orgoglioso sotto la sua tavola l’adesivo “skateboard is not a crime”. Spesso per via degli slide sulle panchine la parola “not” veniva cancellata e si leggeva “skateboard is a crime”, mio padre carabiniere non ne andava molto orgoglioso.
Poco più tardi iniziarono a vedersi i primi snowboard. Poche serate come cameriere nel bar del paese ed eccomi lì con i miei risparmi che mi compravo la mia prima attrezzatura, una tavola Nidecker Camille Brichet twin tip, attacchi Drake e scarponi Airwalk.
In quegli anni si sentiva fortemente il senso di community, pochi ma uniti, tutti insieme rivendicavamo il diritto di accedere agli impianti, ma nulla. Le stazioni lo skipass proprio non ce lo volevano fare, ci dicevano che rovinavamo le piste.
Non ero altro che ragazzino, studiavo fotografia. Odiavo ma allo stesso tempo amavo quel momento in cui mi negavano la possibilità di acquistare lo skipass, perché mi sentivo di non far parte di un sistema, risalendo a piedi sulle piste mi sentivo un trasgressore. E mi piaceva.
Passano gli anni, inizio a fotografare snowboard per alcune riviste, e anche se anno dopo anno le stazioni sciistiche iniziano a farci gli skipass, rimaniamo sempre etichettati come “trasgressori” perché andiamo fuoripista, costruiamo salti nelle piste a mano, saliamo sui rail con le tavole. Capitava spesso che le forze dell’ordine ci chiedessero i documenti o sequestrassero le tavole a fine giornata.
Poi d’improvviso, uomini alienati e insoddisfatti, annoiati dal lavoro d’ufficio e dalle mura di casa iniziano ad essere attratti da questo strano fenomeno dello snowboard, da questo stile di vita, da questa trasgressione. Lo ski era diventato tremendamente noioso.
Ed è così che settimana dopo settimana nei comprensori si vedono sempre più snowboarder, sempre più jump, park, eventi e party dove se ti avvicini vestito da skier di certo non torni a casa con una ragazza.
L’attrazione verso la trasgressione, anche se solo per qualche ora, era troppo forte. Avvocati si camuffavano con improbabili colori sgargianti ed impazzavano ai party, imprenditori, operai, studenti, non mancava nessuno. Non vi era distinzione, di giorno si raidava e di notte di festeggiava. Per poi il lunedì rifarsi il nodo alla cravatta e tornare alle vite grigie ed al sistema che ci era stato imposto.
Arrivano le Olimpiadi e Terje Haakonsen, il più influente rider della storia, si mette immediatamente contro di esse dicendo in una sua intervista: “Odio le Olimpiadi. Ci stanno rubando lo snowboard. Distruggeranno il nostro sport”
Arriva il 2020. Il Covid19. Il lockdown. La chiusura degli impianti. Non ti puoi allontanare da casa oltre il tuo comune.
Ma per alcuni la neve è più importante dell’aria che respira e quindi l’unica soluzione illegale è prendersi pelli e split, camminare per ore, assaporare il gusto della fatica e del sudore e guadagnarsi ogni singolo centimetro di polvere, immacolata, perfetta.
Allora si carica la tavola in macchina ben nascosta dalle coperte, illegalmente si varca il confine, si parcheggia in un luogo appartato, si cammina fino in cima. Sudore, fatica, perseveranza. Finalmente si raggiunge la vetta. “Trasgressore” è l’aggettivo che rimbomba nella testa prima di droppare. Un flashback degli anni ’90 quando si era “trasgressori” solo per il fatto di essere snowboarder. Di nuovo per amore si trasgredisce, si ritorna a far parte di una community. E solo chi ne fa parte può riconoscere il sorriso che hai stampato in faccia di ritorno dalla montagna.
Snowboard is not a crime (anymore).